Attraversai un’arcata e finii in un salone tappezzato di pannelli lignei, con nicchie che ospitavano libri e ceramiche di dubbio gusto. Grandi bracieri d’ottone pendevano dal soffitto alto e illuminavano l’ambiente con lingue di fuoco danzanti. Sotto uno di essi, due mercenari combattevano contro ben quattro mori in un clangore di ferri. Il più magro di loro menava sciabolate reggendosi in piedi su un divanetto rosso e usando un cuscino come scudo. Le ombre dei contendenti si allungavano sul pavimento di marmo venato di rosa e ricoperto per metà da sontuosi tappeti.
La mia schiena si contrasse in un brivido di eccitazione. Costeggiai il muro sinistro in punta di piedi, rapido come una gazzella, restando nell’ombra delle colonne che si levavano su entrambi i lati. Non c’era armatura a rallentarmi, e il coltello che stringevo con la lama verso il basso era pronto a colpire il fianco del primo nemico che mi capitava a tiro.
Sbucai da dietro una colonna. Un movimento improvviso. Strinsi gli addominali e piegai il busto all’indietro, evitando un fendente diretto a tranciarmi la testa di netto.
Un moro muscoloso dalla pelle d’ebano, avvolto in un caftano verde, mi girò intorno a guisa di un lupo che sta scegliendo il lato migliore dove azzannare. Gonfiò il petto e si stiracchiò le spalle, quasi volesse sembrare ancora più grosso e animalesco, ma la scimitarra dall’elsa verde smeraldo esitava a volare ancora nella mia direzione.
«Che Allah se li porti. Adesso anche i ragazzi di quindici anni ci mandano contro?» disse con voce profonda e gutturale.
«Ho diciannove anni» con un rapido gioco di dita girai la lama del pugnale verso l’alto, mentre con la sinistra ne sfoderavo un altro.
«Meglio così, allora. Avevo un po’ di rimorso a tagliare la gola di un bambino.»
Incrociai i due pugnali di media lunghezza e parai un suo affondo. Fu come tentare di contenere la zampata di un orso. Strinsi i denti e irrigidii gambe e braccia per mantenere la posizione. Il piede sinistro quasi mi scivolò sul tappeto che entrambi stavamo calpestando. L’essere scampato al deserto e al suo terribile padrone mi aveva donato per due anni una sensazione di euforica invincibilità. Era giunto il momento del brusco risveglio.